Avvocato Domenico Esposito
 

INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA E FALLIMENTO DEL GESTORE, LA BANCA NON RISPONDE

Gli obblighi informativi previsti dalla legge e dai regolamenti Consob riguardano il contratto quadro tra investitore e banca, ma il default del gestore non riguarda il contratto di mandato tra banca e cliente, poiché le operazioni negoziali successive alla stipulazione di detto contratto quadro costituiscono un momento attuativo a cui la banca è estranea.

In altre parole, il danno subito dal cliente non dipende direttamente dalla violazione, da parte della banca, degli obblighi informativi, ma da un evento dipendente dal comportamento di un terzo.

Questa ricostruzione, a nostro parere, offre il fianco ad alcune critiche.

Il tribunale non ha accertato se vi fosse stata un’informativa adeguata, da parte della banca, sul rischio che andava a correre l’investitore; se, cioè, il mercato finanziario avesse già conoscenza dello stato di default del gestore.

Invero, la giurisprudenza dovrà chiarire se, nella nozione di «rischio» prevista dalla normativa di settore, rientra anche la mancata restituzione delle somme investite da parte del gestore.

La sentenza richiama anche la giurisprudenza delle SSUU secondo cui i contratti di intermediazione finanziaria viziati sotto il profilo della mancata informazione non sono nulli, ma perfettamente validi, attribuendo così, al cliente, il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da parte della banca.

 

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI ROMA - Sezione III Civile


In composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Margherita Libri, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al nr. 15332/2011 R.G.A.C., rimessa in decisione all'udienza del 12 marzo 2013

promossa da

(…) nato a Roma i l residente in (…) c.f.: (…) rappresentato e difeso, giusta procura in margine all'atto di citazione, dall'Avvocato (…) presso il cui studio in Roma, Via (…) è elettivamente domiciliato;
-ATTORI

contro

Banca (…) , con sede in (…), Via (…) in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore , elettivamente domiciliata in Roma, Via (…), presso lo studio dell'Avv. (…), che la rappresenta e difende, come da procura generale alle liti in atti;
- CONVENUTA -

OGGETTO: intermediazione mobiliare
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3 marzo 2011, giudizio, innanzi a questo Tribunale, (…) conveniva in giudizio, innanzi a questo tribunale, Banca (…) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, per sentir accogliere nei suoi confronti le seguenti conclusioni:
«I. Accertare e dichiarare che la (…) s.p.a. non si è comportata in conformità a quanto disposto dall'art. 21 lett. a) e b) del Decreto Legislativo n. 58 del 1998 e degli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98, nonché a quanto previsto agli artt. 1175 e 1375 c.c.; 2.
Accertare e dichiarare la risoluzione per inadempimento agli obblighi come sopra specificati da parte della convenuta del contratto per l'acquisto d i obbligazioni (…) emesse da (…) garantite da (…) per un valore nominale di euro 50.000,00 sottoscritto in data 23.5.2002 dal sig. (…);
Condannare conseguentemente la convenuta Banca (…) S.p.A. al risarcimento/restituzione della somma di euro 50.000,00 in favore dell'attore oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data dell'evento all'effettivo soddisfo;
4. Condannare sempre la convenuta alla refusione delle spese e dei compensi di lite d i cui il sottoscritto procuratore chiede la restituzione in suo favore.»

A motivo delle domande, l'attore, premesso di aver acquistato, in data 23 maggio 2002, obbligazioni emesse dalla (…) (8,375% tasso d'interesse fisso, 2007 anno di scadenza) per l'importo di £. 50.000,00, su sollecitazione dì uno dei promotori finanziari operanti presso la Banca (…) Filiale di (…) deduceva: che la società emittente era stata ammessa alla procedura di Amministrazione Straordinaria in data 28.11.2003; che la banca in occasione di tale operazione di investimento aveva violato le norme di cui agli articoli 21 e ss. del D. Lgs.vo n. 58/1998 e agli articoli 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98, non avendogli fornito alcuna informazione, relativamente al rating di tali titoli, né avendo la banca segnalato la sussistenza del conflitto di interessi. Osservava inoltre che nessuna informazione era stata data riguardo al successivo andamento delle obbligazioni e che le somme investite, per il cui importo era stato ammesso allo stato passivo della procedura concorsuale, non gli era mai stato restituito.

Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la Banca convenuta deducendo l 'infondatezza dell'azione ed evidenziando: l'inammissibilità e improponibilità delle domande avversarie, in quanto riferite alla singola operazione di investimento, in sé non suscettibile di autonoma declaratoria giudiziale; l'omessa proposizione di domande giudiziali in tema di obblighi informativi concernenti la fase precedente la stipulazione del contratto quadro, di domande giudiziali a titolo di responsabilità contrattuale e risarcimento danni, di domande giudiziali in tema di conflitto di interessi; la prescrizione; l'improponibilità della domanda per effetto dell'insinuazione del credito rinveniente dalle obbligazioni per cui è causa al passivo della (…)s.p.a. ., con conseguente cessazione della materia del contendere; l'incompatibilità logica tra la domanda di risoluzione e la domanda di insinuazione al passivo.

Deduceva, inoltre, l'infondatezza delle domande, osservando: che l'attore, già dipendente della banca, era persona dotata di esperienza nel campo degli investimenti; che aveva dichiarato di essere stato adeguatamente informato sulla natura, i rischi e le implicazioni delle operazioni d i investimento d i cui trattasi; che il rischio del mancato pagamento degli interessi e del capitale da parte della società emittente era direttamente correlato all'elevata misura degli interessi; che non vi era alcuna garanzia di rimborso del capitale; che la banca non aveva obblighi di informazione circa l'andamento dei titoli, non essendo stato sottoscritto un contratto di gestione del portafoglio; che il default della (…) era un evento imprevedibile.

Concludeva, pertanto nei seguenti termini: «in via preliminare e/o pregiudiziale, rigettare le domande proposte dall'attore perché inammissibili e/o improponibili e/o prescritte, previa declaratoria in tal senso; 2) in via subordinata e nel merito, rigettare le domande tutte proposte dall'attore, per intervenuta ratifica, convalida o comunque rinuncia alla risoluzione, previa declaratoria in tal senso: 3) in via ulteriormente subordinata e nel merito, rigettare le domande tutte proposte dall'attore, perché infondate e comunque non provate, previa declaratoria in tal senso; 4) in via ulteriormente subordinata-riconvenzionale, nella ipotesi denegata e non creduta di condanna della Banca emessa a qualsiasi titolo in accoglimento delle domande dell'attore, fatta salva ogni migliore tutela e salvo ogni gravame: a) condannare l'attore, anche previa compensazione con l'importo della denegata condanna, alla restituzione in favore d i Banca di tutti i titoli obbligazionari per cui è causa e/o del valore dei medesimi, e/o delle somme pari al ricavato della eventuale cessione anche parziale a soggetti terzi, nonché della somma di E. 3.664,06 percepita a titolo di interessi per effetto della detenzione delle suddette obbligazioni; b) ridurre o escludere la condanna emessa nei confronti della Banca : i) ex art. 1227 c.c., I e/o II comma, previo accertamento d e l concorso colposo del l 'attore; l) previa compensazione, come sopra meglio precisato con la somma di E. 3.664,06, percepita da parte dell'attore titolo di interessi per effetto della detenzione delle obbligazioni per cui è causa, nonché con il valore dei medesimi titoli e/o con il ricavato della eventuale cessione, anche parziale a soggetti terzi, ovvero con la somma maggiore o minore che risulterà di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione;....con vittoria di spese, competenze, onorari e spese generali.»
Autorizzato i l deposito delle memorie ex articolo 183, VI comma, cod. proc. civ., rigettate le istanze istruttorie avanzate dalle parti, all'udienza del 12 marzo 2013, la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Motivi della decisione

Nella vicenda che ci occupa, trovano applicazione, ratione temporis, la Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 - nel testo antecedente le recenti modifiche di cui ai Digs. 17 settembre 2007 n. 164 e Digs. 6 novembre 2007 n. 195 - nonché i regolamenti attuativi elaborati dalla Consob, e, segnatamente, i  Regolamento Consob dell' l luglio 1998 n. 11522 (ormai sostituito dal nuovo Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007).

Orbene, il D. Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 — nel testo in vigore prima delle recenti modifiche innanzi richiamate — e la correlata normativa di attuazione, ponevano e pongono specifiche regole cui l'intermediario finanziario deve improntare la propria condotta nei rapporti con gli investitori.
Segnatamente — per quanto di interesse nella fattispecie concreta

l'art. 21, comma 1, lett. a, b e c, l impone, ai soggetti abilitati, di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati, di acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati, di organizzarsi in maniera tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse ed, in situazione di conflitto, agire in modo da assicurare, comunque, ai clienti trasparenza ed equo trattamento;
l'art. 26, comma 1, lett. e, del Regolamento Consob n. 11522/98 postula la c.d. know your merchandise rule, la quale impone, agli intermediari, di acquisire «una conoscenza degli strumenti finanziari [...] da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire»;

l'art. 28, comma 2, del Regolamento Consob n. 11522/98, vieta agli intermediari di effettuare o consigliare operazioni senza  aver prima fornito all'investitore «informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento»;

l'art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 contiene la c.d. suitability rule, ovvero una previsione in forza della quale gli intermediari devono astenersi dall'effettuare, con o per conto degli investitori, operazioni non adeguate, per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione, e pertanto, ove ricevano disposizioni relative ad un'operazione non adeguata, devono informare l'investitore richiedente di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all'esecuzione dell'investimento ordinato. Nel caso in cui l'investitore voglia, comunque, dare corso all'operazione, gli intermediari posso eseguirla solo sulla base di un ordine impartito per iscritto.

Ciò posto va, ora, osservato che né il T.U.F. (Digs. N. 58/98) né i l Regolamento Consob n. 11522/98 (e neppure il successivo Regolamento Consob n. 16190/2007) specificano quali siano le conseguenze che, sul piano contrattuale, derivano dalla violazione degli obblighi di condotta posti a carico dell'intermediario; tanto, del resto, in linea con la generale carenza di disciplina rimediale che caratterizza tutta la normativa di settore, che, pur orientata da finalità protettive del contraente debole, con la previsione di specifici ed articolati doveri di comportamento (per lo più di natura informativa) da assolvere nella fase della  formazione del contratto, è solo raramente accompagnata dalla indicazione degli strumenti di tutela operanti in caso di loro violazione, dacché, invece, il nostro legislatore - nell'assolvere al compito, demandato dal legislatore comunitario ai singoli Stati membri, di integrare le direttive con gli strumenti rimediali più idonei in relazione ai rispettivi ordinamenti giuridici - si è, per lo più, limitato a prevedere un apparato sanzionatorio di natura amministrativa, rimettendo, così , all'interprete l'individuazione delle conseguenze che, in forza del sistema generale, possono discendere, sul piano contrattuale, dalla violazione delle regole di comportamento enunciate.

Pertanto, a colmare i l vuoto di previsione che, sul piano dei «rimedi contrattuali», presenta i l T.U.F., è intervenuta la giurisprudenza, a ciò sollecitata dal copioso contenzioso giudiziario sorto tra risparmiatori ed intermediari finanziari i n seguito al le note vicende della Repubblica Argentina, della Cirio e della Parmalat.

Orbene, come certo noto, per lungo tempo la prevalente giurisprudenza di merito, nell'occuparsi delle «ricadute contrattuali» derivanti dalla violazione dei doveri di comportamento da parte degli intermediari, ha ritenuto che la tutela dell'investitore fosse affidata alla sanzione della nullità, ovvero, più raramente, a quella dell'annullamento del contratto, per vizio del consenso; da cui la susseguente condanna dell'operatore alla restituzione delle somme versate per l'acquisto di prodotti finanziari.

Segnatamente, alla declaratoria di nullità delle operazioni di investimento, conseguente all'inosservanza, da parte degli intermediari finanziari, degli specifici obblighi posti dall'art. 21 T.I.J.F e dagli artt. 28 e 2.9 del Regolamento Consob n. 11522/98, i giudici di merito ritenevano di poter pervenire facendo applicazione del disposto dell'art. 1418 c.c. ed argomentando dalla natura imperativa delle predette disposizioni, volte a tutelare non solo gli interessi particolari del singolo investitore bensì l'interesse generale a l corretto funzionamento ed all'integrità dei mercati, in vista della «protezione» del risparmio (in tal senso, ex plurimis, Tribunale di Mantova, Sez. H, 12 novembre 2004; Tribunale di Firenze, 30 maggio 2004).

Va, tuttavia, osservato che la Suprema Corte, fin dalla prima pronuncia resa con riferimento alla specifica questione afferente le «ricadute contrattuali» dell'inosservanza degli obblighi di diligenza, informazione e trasparenza gravanti sugli intermediari finanziari, ha sottoposto a critica l'orientamento della giurisprudenza di merito, volto a sanzionare con la nullità del negozio — e con i susseguenti obblighi restitutori — l'inottemperanza alle norme di comportamento poste a carico degli operatori abilitati dall'art. 21 del T.U.F. e dalle connesse previsioni dei Regolamenti CONSOB.

Invero, la Corte di Cassazione, con la nota Sentenza n. 19024 del 29 settembre 2005, affermando principi di diritto incompatibili con la tesi della nullità del contratto di investimento, ha ricostruito, invece, in termini di responsabilità precontrattuale o contrattuale l'inadempimento, da  parte dell'intermediario, dei doveri di comportamento previsti dal tale ed, ai fini della tutela dell'investitore, ha suggerito una soluzione sino ad allora inedita, consistente nel risarcimento del danno per conclusione di un contratto valido ed efficace ma «pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto».

Nella citata Sentenza n. 19024/05, ribadito il valore di quella fondamentale distinzione tra regole di validità del contratto e regole di responsabilità dei contraenti - distinzione che postula la diversità di reazione dell'ordinamento di fronte, da un lato, alla difformità fra il concreto assetto di interessi posto in essere dalle parti e la fattispecie legalmente prevista, e , dall'altro, la violazione di regole di condotta da parte dei contraenti — il Supremo Collegio, pur non disconoscendo la natura imperativa ed inderogabile delle disposizioni che pongono specifici obblighi e regole di condotta a carico degli operatori finanziari, ha ricondotto tali prescrizioni al novero delle mere regole di comportamento imposte nella fase precontrattuale o esecutiva del contratto e, quindi, è pervenuto alla conclusione che, in assenza di una espressa previsione invalidante, il contraente vittima del comportamento scorretto possa avvalersi solo del risarcimento del danno.

Come certo noto, le argomentazioni espresse dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la citata Sentenza n. 19024/2005, hanno, poi, trovato l'avallo delle Sezioni Unite della Suprema Corte, nelle Sentenze n. 26724 e n. 26725 del 19 dicembre 2007.

Invero, nelle pronunzie da ultimo citate, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno evidenziato che la violazione delle regole di comportamento, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, non incide sulla genesi del patto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità, ma genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente.

Dalle cennate premesse, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite — in linea con quanto enunciato dalla Prima Sezione nella citata Sentenza n. 19024/2005 — ha ricavato la considerazione e conclusione che la violazione degli obblighi che accompagnano la stipula del contratto di intermediazione (quali, per esempio, l'obbligo di consegnare al cliente i l documento informativo ed il dovere dell'intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente), ove non valga ad integrare, addirittura, situazioni tali da determinare l'annullabilità del contratto per vizi del consenso, è «naturalmente destinata a produrre una responsabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discende l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni».

Analogamente, poi, - a parere del Supremo Collegio - la violazione dei doveri dell'intermediario riguardanti, invece, la fase successiva alla stipulazione del contratto d'intermediazione (quali i l dovere di porre sempre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni d'investimento), «può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale, giacché quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono, quindi, destinati ad integrare, a tutti gli effetti, il regolamento negoziale vigente tra le parti; con la conseguenza che la loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull'inadempimento contrattuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall'art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d'intermediazione finanziaria in corso».

Fatte tali premesse e passando all'esame della fattispecie concreta, va evidenziato che — per quanto inferibile dalla documentazione in atti (…) la sottoscritto, presso la Banca (…) S. p. A., in data 23 maggio 2002, un ordine di acquisto di obbligazioni emesse dalla (…)per il valore nominale di e. 50.000,00 (doc. n. 2, fascicolo banca convenuta). È poi fatto notorio - e, peraltro, incontestato tra le parti — che le obbligazioni oggetto dell'operazione dedotta in lite non sono state rimborsate dalla società emittente, atteso che quest'ultima, è stata dichiarata insolvente ed assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria.

L'attore ha chiesto, previo accertamento della violazione degli obblighi sanciti a carico della banca intermediaria, la risoluzione del contratto di acquisto e, conseguentemente, la condanna della società convenuta al risarcimento del danno.

Tali domande non possono trovare accoglimento, né con riferimento alla richiesta di risoluzione, né con riguardo a quella di risarcimento del danno.

Va per l'intanto ribadito che, essendo l e singole operazioni che l'intermediario compie per conto del cliente ed in adempimento del contratto quadro di negoziazione, da considerare quale momento attuativo del precedente contratto di intermediazione, l'eventuale risoluzione contrattuale potrà necessariamente riguardare, ove ne ricorrano i presupposti, il solo contratto quadro.

Ed, infatti, posto che la risoluzione per inadempimento non può che riconnettersi al mancato o inesatto adempimento di obbligazioni che nascono dal contratto e che attengono, dunque, alla fase esecutiva dello stesso, nel caso di specie gli obblighi informativi finalizzati ad assicurare consapevoli scelte di investimento si ponevano e si pongono, indefettibilmente, nella fase che precede l a conclusione delle singole operazioni di investimento, concernendo, piuttosto, la fase esecutiva del contratto di intermediazione finanziaria; dal che l'affermazione delle Sezioni Unite della Suprema Corte secondo cui la violazione dei cennati obblighi di informazione — ove di non scarsa importanza - può comportare l a risoluzione del contratto di intermediazione (ovvero del cd. contratto quadro) e non, certo, delle singole operazioni di investimento.

Per non tacer del fatto che, secondo l a ricostruzione proposta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nelle pronunce sopra richiamate, nei rapporti tra operatori finanziari ed investitori la vera e propria operazione negoziale è costituita esclusivamente dal contratto quadro o contratto di intermediazione finanziaria — assimilabile alla figura del mandato e dalla cui stipulazione derivano obblighi e diritti reciproci dell'intermediario e del cliente,  ivi compresi gli obblighi legali d i informazione di cui innanzi si è detto - mentre le singole transazioni su valori mobiliari, anche se a loro volta possono consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre - ed essenzialmente - i l momento attuativo del precedente contratto d'intermediazione. Gli ordini di acquisto, dunque, in quanto atti esecutivi dei contratti di negoziazione, possono essere risolti esclusivamente per effetto della risoluzione del contratto quadro.

Deve, in ogni caso, osservarsi — con confermando sul punto un indirizzo già espresso in fattispecie analoghe — che l'inadempimento della banca agli obblighi di informazione posti a suo carico non può ritenersi di gravità tale da giustificare, ex art. 1455 c.c., la risoluzione del contratto quadro. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che il cennato contratto di negoziazione ha avuto normale svolgimento tra le parti e lo stesso ordine di acquisto in contestazione ha avuto regolare esecuzione quanto meno fino al default del Gruppo (…), senza alcuna doglianza da parte dell'attore, che anzi ha percepito i rendimenti cedolari medio tempore maturati.

D'altra parte, questo Tribunale ha già osservato che, in astratto, la violazione dei più volte richiamati obblighi di comportamento, anche con riferimento alla responsabilità extracontrattuale, potrebbe assumere rilievo nella misura in cui , come comportamento di per sé illecito o come inadempimento contrattuale, abbia prodotto un danno, così come qualsiasi atto illecito o qualsiasi inadempimento contrattuale può essere fonte di obbligo risarcitorio se ed in quanto si provi di aver sofferto un danno e la riconducibilità dello stesso al fatto del debitore.

Nel caso di specie, tuttavia, alla luce della domanda di «risoluzione del contratto per l'acquisto» e di quella — conseguente alla previa dichiarazione della risoluzione del contratto per inadempimento - di risarcimento del danno svolta dall'attore, e preso atto dell'inesistenza delle cause di risoluzione che costituiscono il presupposto di entrambe, si deve ritenere che non sia possibile procedere alla positiva valutazione della domanda risarcitoria, connessa invero ad una domanda rigettata.

In altri termini la domanda di risarcimento non può essere accolta per difetto di causa petendi, visto che evidentemente, in base alle conclusioni così come formulate in atti, il non accoglimento della domanda di risoluzione non può che portare al rigetto della connessa e consequenziale domanda risarcitoria.

Sul punto — è ben vero — si potrebbe obiettare che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta, oltre che congiuntamente, anche separatamente da quella di risoluzione, visto che l'art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l'azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell'azione d i risoluzione del contratto o, a maggior ragione, il suo accoglimento, ma non va dimenticato che in relazione alle conclusioni attoree, vincolanti per il Tribunale, il risarcimento del danno è stato ricollegato al previo accertamento e alla declaratoria della «risoluzione del contratto per l'acquisto», della cui infondatezza si è detto, e non al mero comportamento tenuto da parte della convenuta.

Le domande spiegate dall'attore, pertanto, devono essere respinte, con assorbimento di ogni ulteriore questione.

Le spese del giudizio, seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo, secondo la natura e i l valore della controversia, nonché tenuto conto delle attività difensive espletate.
definitivamente pronunziando sulla domanda svolta da (…) nei confronti della Banca (…)

Rigetta la domanda.

Condanna l'attore al pagamento delle spese del giudizio, liquidate nella complessiva misura di e. 2.750,00, oltre lva e Cpa come per legge, in favore della Banca convenuta.
Così deciso in Roma, in data 10 ottobre 2013.

Il Giudice
Dott.ssa Margherita Libri